Il popolamento in età etrusca

Lungo la valle del torrente Petraia è stato individuato e scavato un abitato etrusco databile al VI secolo a.C. In realtà, questa zona era frequentata fin dal VII a.C. secolo, come dimostrano le tombe, a circolo e a fossa, scavate nel 1995. La tomba a fossa è quella che ha restituito il corredo più ricco: prevalentemente ornamenti in bronzo per vesti e capelli. Le caratteristiche costruttive dell’abitato etrusco del VI secolo invece, mostrano in maniera inequivocabile il superamento di soluzioni abitative più antiche, come ad esempio le capanne protostoriche.

Follonica e il suo territorio sono da sempre legati alla produzione del ferro, come del resto è ampiamente testimoniato anche dai siti siderurgici etruschi situati a podere S. Giovanni e Felciaione. I fattori che hanno favorito questo tipo di attività in questa precisa area geografica sono molteplici.

Il primo era l’abbondante presenza di Ematite dell’isola d’Elba. Un isola distante 30 km dal golfo di Follonica che presenta caratteristiche geologiche uniche nel mondo. Qui i depositi di minerale erano così vasti che Virgilio definì l’isola come “inexhaustis generosa metallis”. I greci arrivarono addirittura a chiamarla Aithalìa, dal greco: aithàle, traducibile con fuliggine. Un termine che rimanda ovviamente alle intense attività siderurgiche che si svolgevano su quest’isola durante l’antichità. E ancora lo storico Tito Livio ricorda che le spade delle legioni di Scipione l’Africano furono forgiate a Populonia con i minerali ferrosi provenienti dall’Elba. Oggi l’Ematite è quasi esaurita e la sua estrazione non viene più ritenuta redditizia.

Il secondo era connesso alle vaste aree di macchia mediterranea, come quelle che si trovano nel vicino parco di Montioni. Essa è ricca di erica arborea e di quercia molto adatte alla produzione del carbone, il combustibile per effettuare la riduzione dell’ematite.

Un minerale di Ematite proveniente dall'isola d'Elba
Uno dei tanti percorsi che si possono fare all'interno del parco di Montioni

Dove erano ubicate le miniere del minerale ferroso?

Non ci sono evidenze archeologiche che possano indicare con sicurezza quali dei vari giacimenti di Ematite presenti sull’Elba fossero sfruttati nell’antichità. Con molta probabilità le recenti minere di Rio Marina, Terranera, Ginevro e Capo Calamita sono sorte in prossimità dei più antichi siti di estrazione attivi nel perido etrusco.

Miniera di Capoliveri
A = Rio Marina B = Terranera C = Capo Calamita D = Ginevro
Una delle miniere di Ematite presenti sull'isola d'Elba

Come si otteneva il ferro nell'antichità?

Le fasi iniziali di pre-lavorazione del minerale venivano svolte presso i siti d’estrazione. La prima operazione consisteva nella frantumazione e selezione del minerale per eliminare le “ganga” (roccia sterile). Conclusa questa fase preliminare la materia prima era sottoposta ad un processo chiamato “arrostitura”. Tale processo avveniva in atmosfera ossidante e permetteva di trasformare i carbonati o i solfuri contenuti nel minerale in ossidi di ferro.

L’eliminazione dell’ossigeno, fondamentale per ottenere il metallo, era effettuata tramite un’ulteriore cottura in fornaci con atmosfera riducente, dette basso fuoco. Il prodotto che ne derivava (bluma) era ancora misto a scorie e dalla consistenza spugnosa. La causa era la bassa temperatura di queste fornaci, che permettevano di eliminare l’ossigeno, ma non di fondere gli ossidi di ferro ottenuti dall’arrostitura. Per arrivare a questo risultato sono necessari almeno 1540 °C.

La bluma veniva poi lavorata tramite battitura a caldo per ottenere il cosiddetto ferro dolce: caratterizzato appunto da una scarsa durezza. Questa poteva essere aumentata tramite l’acciaiatura del ferro. Acciaiatura che veniva ottenuta prolungando il riscaldamento del metallo sul carbone.

Una bluma proveniente dalle spiagge del Golfo di Baratti
Un minerale di pirite con esempio di ganga (in bianco)
Cristalli di antimonio (grigio scuro) con ganga

Il processo di riduzione del ferro nel perido etrusco: il sito di Rondelli

Nel 1997, in occasione dello sbancamento dell’area destinata al parcheggio del nuovo centro commerciale in località Rondelli, fu scoperto un insediamento siderurgico di epoca etrusca. Il sito è stato datato tra gli inizi del VI e la fine del V secolo grazie ai materiali rinvenuti presso il quartiere abitato. L’insediamento, infatti era diviso in due settori: artigianale e “abitativo”. Nella parte adibita alla riduzione dell’ematite sono stati portati alla luce 21 forni a basso fuoco. Attualmente, nel parcheggio del centro commerciale si possono vedere quelli meglio conservati, lasciati volutamente in vista (protetti da una teca) dopo lo scavo. Nell’altra parte, quella che è stata ipotizzata come abitativa, sono state individuate tracce di strutture direttamente legate alle attività fusorie. Il materiale ceramico rinvenuto era prevalentemente di produzione locale, sono pochi i frammenti che possano rimandare a ceramiche di importazione.

Il basso fuoco

Come era fatto il forno di argilla?

I forni erano costituiti da una parte interrata circolare del diametro di 70/80 cm, rivestita di argilla e una superiore, sempre in argilla, di 8 cm. Al livello del terreno erano realizzati vari fori nel forno, utilizzati per inserire le “tubiere”.

Come funzionava il forno di argilla?

Attraverso le tubiere veniva immessa all’interno del forno l’aria per raggiungere la temperatura necessaria alla riduzione dell’ematite. L’insufflazione avveniva utilizzando dei mantici. Dopo la cottura l’alzato veniva distrutto per estrarre la spugna di ferro e le scorie.

Cosa ne facevano della bluma?

La spugna ferrosa veniva depositata in appositi magazzini e successivamente veniva ridotta a barre di ferro dolce. Da queste potevano essere ricavati sia utensili che armi.

Ma che fine hanno fatto le scorie (loppe)?

Le scorie dei forni fusori, sono oggi scomparse per varie ragioni. A partire dal 1830, durante la bonifica della palude di Scarlino, furono utilizzate come materiale inerte di colmata. Nel 1910 servirono per la costruzione della massicciata della ferrovia Follonica Porto – Massa Marittima. Nel corso della prima e della seconda guerra mondiale furono rifuse negli altiforni per recuperare del ferro residuo.

Ricostruzione di uno dei forni fusori rinvenuti a Rondelli (tratto da Follonica etrusca, i segni di una civiltà 1998)
Ricostruzione dell'impianto produttivo di Rondelli (tratto da Follonica etrusca, i segni di una civiltà 1998)

Testi a cura di Carlo Citter

Per approfondire:

  • Aranguren, B. M., Rovai, E. P. (1998). Follonica etrusca. I segni di una civiltà.
  • Cagnana, A. (2000) Archeologia dei materiali da costruzione, Manuali per l’archeologia, 1, Mantova.
  • Betti, C., Guasparri, G., Pagani, G. (2001) Carta delle principali località di interesse mineralogico della Toscana meridionale, Siena.

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